Ernest Hemingway sosteneva che il vino “è il maggior segno di civiltà nel mondo”. A mio parere non si sbagliava. Una sintesi di come il vino è cultura, storia, persone, natura, quotidianità apprezzandone le diversità che la terra ci continua a regalare.

Sebbene la viticoltura affonda le sue radici nella cultura greca, etrusca e dall’antica Roma di per sé la vite, questa specie autoctona, ha padronanza delle terre del Sud della nostra penisola risalente al V sec. a.c. nota come Enotria.

Dall’ora sono passati secoli ma ‘il nettare degli dei’ – il vino – resta sempre il motore trainante culturale e commerciale dell’Italia. Al Vinitaly 2024, in fatti, non sono mancate le grandi manovre di business dove, come ogni anno, il grande approccio dei produttori e viticoltori è stato abbastanza notevole visti gli stand occupati alla Fiera di Verona.

Il Sud, ancora una volta, non si è fatta trovare impreparata davanti ai mostri sacri del settore: Puglia, Campania, Calabria e Sicilia ancora una volta si sono distinte alla kermesse veronese. Punto di forza dei produttori del Sud è stato quello di non sottomettersi alle tendenze, cioè di mantenere puro lo stato alcolemico del proprio prodotto. Chapeau!

Ad essere pignolo, le note stonate in questa splendida manifestazione, purtroppo, sono state: la cattiva abitudine di portare al Vinitaly le ultime annate che, puntualmente, non sono pronte. E gli ‘sputacchiatori’ che affollano le degustazioni ai quali vorrei tanto dire: “Il vino, cari miei, dovreste berlo, per non perdervi niente del prodotto che state degustando e soprattutto per rispetto verso chi ve lo ha servito”.

A buon intenditor…

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